Manuale base di tecnica fotografica
Ho preparato un manualetto di base se stai iniziando a fotografare e non capisci quasi niente di niente di ISO Tempi e Diaframmi. Quindi se vuoi capire qualcosa di piu’ della tua nuova reflex che ti hanno regalato e che usi ancora in modalità AUTO ti invito a leggerlo e iniziare ad avere un’idea di tutto quello che sta dietro ad uno scatto.. Spero che ti spieghi i concetti base e che rileggendo successivamente il manuale della tua fotocamera, molte cose risultino meno complicate e più chiare!
Scattare!
La fotografia spiegata in modo semplice.
Come funziona una fotocamera
Per macchina fotografica, o fotocamera, intenderemo uno strumento tecnologico che mima l’occhio umano e che permette di creare delle immagini digitali bidimensionali. Il funzionamento è semplice. La luce entra dalla lente frontale e viene proiettata sul sensore fotografico. Un microcomputer legge i dati del sensore e provvede a memorizzarlo su di un supporto di memoria. Esistono vari tipi di fotocamere: Le reflex, così chiamate perché dal mirino si vede, tramite uno specchio, l’immagine che entra dalla lente. Le compatte, dove il mirino può essere digitale (vedo sul monitor l’immagine che la lente inquadra) o ottico (ho un’immagine approssimativa di ciò che sto inquadrando. Poi ci sono le bridge, che sono delle compatte più costose mascherate da reflex (pur non essendolo). Ultima recente novità sono le compatte con lenti intercambiabili chiamate mirrorless perché prive dello specchio mobile delle reflex. Ereditano molte caratteristiche delle reflex pur senza avere il mirino a pentaprisma, le inquadrature vengono effettuate unicamente dal display o al massimo da un mirino simile a quello delle compatte. Andiamo intanto a definire che cosa significa fotografare. Noi guardiamo qualcosa, una persona, un animale, un fiore, un oggetto e sentiamo il desiderio di fissare quella scena in una memoria in modo da consultarla in futuro. Ma l’occhio umano è molto particolare, visto che è abbinato ad un altro organo potentissimo, un supercomputer analogico chiamato cervello. Quando noi guardiamo una scena siamo in grado di cambiare punto di messa a fuoco tramite il cristallino dell’occhio ed il nostro cervello è in grado di compensare enormi differenze di luce tra le zone illuminate e quelle no della scena. E’ in grado di creare un’immagine mentale che attualmente è quasi impossibile da replicare in fotografia. Sono stati inventati quindi dei vari artifizi tecnologici per compensare questa limitazione del mezzo tecnico e parleremo di questi sistemi più avanti. Tornando alla nostra fotocamera passiamo a vedere quali sono le componenti importanti che ci interessano! Abbiamo, innanzitutto, il sensore. Pensatelo come alla pellicola della macchina fotografica di una volta. E’ un circuito elettronico fatto a griglia, in grado di leggere quanti fotoni, che sono poi i componenti della luce, gli cadono sopra colpendo dei piccoli quadratini chiamati ‘fotositi’. E per ognuno di questi fotositi, il sensore è in grado di dire quanta luce è stata assorbita utilizzando dei numeri, il numero più basso indicherà pochissima luce, mentre quello più alto indicherà la massima quantità di luce quantificabile dal fotosito stesso. Cosa succede se alcuni fotositi vengono stimolati al massimo della loro capacità? Che quella zona apparirà ‘bruciata’. Ovvero il fotosito più di quel tanto non era in grado di rappresentare la luce. Questa capacità di memorizzare un valore tra il nero ed il bianco si chiama ‘latitudine di posa’. Il sensore della macchina fotografica può essere regolato per essere più o meno sensibile alla luce. Ovvero per poter memorizzare valori di luce anche molto bassi. La misurazione di quanto sensibile è il sensore è misurata in ISO. A valori molto bassi avremo una bassa sensibilità, a valori più alti avremo una maggiore capacità di fare foto al buio. Quest’ultima possibilità pero’ ha un prezzo. Il rumore visivo! Visto che aumentando gli ISO cerchiamo di amplificare i dati dei fotositi, capita che alcune letture non siano molto precise causando quindi quel fastidioso effetto di fotografie con dentro della sabbia che viene definito ‘rumore digitale’. Appena davanti al sensore c’è l’otturatore. Si chiama così perché ottura (blocca) la luce e le impedisce di entrare sul sensore. Quando scattiamo l’otturatore si apre, facendo passare la luce, per poi richiudersi dopo un dato tempo impostato da noi o dagli automatismi della macchina fotografica. Poi abbiamo gli obiettivi, formati da molte lenti hanno lo scopo di prendere la luce davanti a loro ed indirizzarla verso il sensore. All’interno degli obiettivi, chiamati anche per semplicità lenti, esiste una lente che si può muovere e permette andando avanti ed indietro all’interno dell’obiettivo, di regolare la messa a fuoco (ovvero la parte nitida di foto che vogliamo mettere in evidenza nella nostra fotografia). Oltre alla messa a fuoco vi troviamo anche un componente importantissimo. Si chiama diaframma! Immaginatelo come un disco fatto da lamelle di metallo disposte appunto in cerchio, che possono aprirsi o chiudersi per far passare più o meno luce attraverso l’obiettivo stesso. L’apertura o la chiusura del diaframma si indica con un valore chiamato F. Più alto è questo valore più è chiuso il diaframma, più basso il valore più aperto il diaframma. 4 Adesso scattiamo!! La macchina regola la sensibilità del sensore (gli ISO) come da impostazioni, nelle reflex lo specchio si alza… viene regolato il diaframma dentro l’obiettivo al valore che abbiamo impostato noi o che ha deciso il computer, più aperto o più chiuso, parte l’otturatore che si apre e si chiude ed il sensore viene esposto alla luce! CLICK! A questo punto il computer della fotocamera, in fase di scatto, leggerà tutti i valori dei fotositi sul sensore ed elaborerà i dati in modo da ottenere una rappresentazione grafica di ciò che ha letto. Farà delle operazioni matematiche incredibili e andrà a memorizzare sulla memory card il nostro file fotografico. Ora sappiamo cosa sono ISO (la sensibilità del sensore), tempi (quanto resta aperto l’otturatore) e diaframmi (quanto aperto o chiuso è il diaframma dell’obiettivo). Questi tre valori sono il fondamento base di tutta la fotografia e sono esistiti fin dalla prima macchina fotografica costruita dall’uomo.
L’esposizione fotografica
Per esposizione fotografica si intende il processo mentale e pratico per decidere quali parametri utilizzare al fine di creare la fotografia che abbiamo in mente. Scattando in modalità AUTO il computer della macchina fotografica pensa al posto nostro. Guarda la scena. La valuta e prova ad indovinare quello che stiamo pensando. Imposta dei parametri compatibili con la scena e tira fuori una fotografia che secondo lui è equilibrata. Ma spesso sbaglia! Nel capitolo precedente abbiamo chiarito che normalmente la fotocamera non è in grado di registrare le informazioni visive esattamente come le vediamo, a causa della ridotta ampiezza di rappresentazione tra zone di ombra e di luce. Questo significa che dovremo fare in modo che registri la parte più importante di quello che ci interessa fotografare. 7 Facciamo un esempio pratico. Se siamo in una stanza con un’ampia vetrata che da sull’esterno in una giornata assolata e guardiamo.. cosa vedremo? Dei mobili vicino a noi, magari un divano. Poi spostando lo sguardo verso l’esterno, un prato e delle sedie a sdraio colorate. Se dovessimo scattare una foto non potremmo rappresentare la stessa cosa. Questo perché la zona interna della casa non è luminosa come l’esterna. Quindi potremmo decidere se siamo più interessati agli interni o agli esterni. Se regolassimo la macchina per fotografare gli interni, avremo la vetrata completamente bianca e senza nessun dettaglio! Se invece esponessimo per registrare il prato e le sedie fuori avremmo una stanza completamente scura e una bella visuale del parco esterno! Ma come facciamo a sapere se quello che stiamo fotografando sarà giusto? C’è uno strumento portentoso all’interno della macchina fotografica. Si chiama esposimetro e ci dice se quello che stiamo inquadrando verra’ giusto, sottoesposto (scuro) o sovraesposto (chiaro). Quando è usato con gli automatismi di base (che non è la modalità AUTO!) è utile per far fare alla macchina fotografica tutti quei calcoli al fine di scattare una fotografia esposta correttamente. Ricordatevi sempre che la fotografia si fa con la luce! Deve entrare abbastanza luce da impressionare il sensore… non troppa da accecarlo e non troppa poca per lasciarlo al buio!
La composizione fotografica
Per composizione fotografica si intende la disposizione dei soggetti e delle masse di oggetti nell’inquadratura. Una attenta gestione dei dettagli è ciò che differenzia uno scatto banale da una foto ricercata. Si vabbè ma cosa significa? Significa che fare le foto ‘a caso’ non è una buona idea per ottenere un risultato. Fin dal 1800 i pittori hanno cercato un modo per rappresentare la realtà tridimensionale della vita in un modo bidimensionale come i quadri. E cosa è la fotografia se non un dipinto fatto con la luce? Ci sono libri e libri di fotografia che spiegano la composizione fotografica e non ho certo la speranza di spiegare in una paginetta come si possa migliorare una foto con una buona inquadratura. Però ci sono dei concetti che vanno assolutamente chiariti perché ciclicamente vedo che vengono commessi da tutti gli stessi errori. Tranne in casi particolari, artistici, logici, etc… il nostro cervello si aspetta di vedere le cose in foto come se fossimo nella realtà. Questo significa ad esempio che al mare… l’orizzonte, mi aspetto di vederlo orizzontale e non inclinato. E per farlo orizzontale basta guardare attentamente quando si scatta… non solo il soggetto che stiamo scattando, ma facendo spaziare l’occhio attorno a tutto quello che riprendiamo. Sarebbe brutto, ad esempio, fare una foto alla nostra bellissima amica scosciata, e avere sul lato destro il cestino della monnezza straripante di sacchetti. Se invece fotografate dei palazzi, il cervello si aspetta che le linee verticali siano verticali! Per fare questo direttamente in macchina fotografica servono degli obiettivi speciali chiamati Tilt Shift o Controllo di Prospettiva. Fortunatamente, sia per l’orizzonte sia per i palazzi, i software moderni sono in grado di ‘raddrizzare’ le linee storte (che in gergo si chiamano linee cadenti). Per il cesto della spazzatura c’è il timbro clone di photoshop, ma se evitate di includerlo in fase di scatto è una buona cosa. C’è poi la regola dei terzi, cercatela pure su internet, mettetevela in testa e poi cercate anche la regola della sezione aurea. Se seguite un mio consiglio vi invito a guardare un sacco di foto belle e cercare all’interno di queste l’applicazione delle regole compositive che avete studiato. Vi accorgerete che la sezione aurea e la regola dei terzi, nonché l’uso delle diagonali, sono cose che tutte le fotografie che vi piacciono applicano in uno modo o in un’altro. Siate creativi!! Evitate di mettere la faccia della vostra amica ESATTAMENTE al centro del fotogramma… provate a lasciare spazio a destra o a sinistra.
Fuoco e profondità di campo
Questo è uno degli argomenti più ostici da capire e più semplici in assoluto della fotografia! Intanto dobbiamo partire iniziando dal funzionamento del diaframma e visto che non ho nessuna intenzione di mettermi a fare un corso di ottica dirò delle cose delle quali vi dovrete fidare! All’interno dell’obiettivo ci sono delle lamelle poste circolarmente che possono essere regolate per aprirsi e chiudersi a comando formando una apertura (più o meno) circolare. Serve a dosare la quantità di luce che entrerà nel sensore. Un automatismo molto utile della nostra macchina fotografia è l’impostazione a priorità dei diaframmi. Normalmente è indicato dalla lettera A sulle ghiere di comando Nikon. A sta per Apertura. Come funziona? Noi impostiamo il diaframma (quanto le lamelle siano aperte o chiuse) e l’esposimetro della macchina fotografica calcola i tempi di scatto (il famoso otturatore) sulla base degli ISO impostati. Ma cosa succede cambiando i diaframmi? Quale è la differenza che andremo a vedere? Quello che cambia è la profondità di campo. Quando vogliamo fotografare una ragazza appoggiata ad un parapetto di un ponte e sullo sfondo delle montagne, se abbiamo il diaframma chiuso saranno a fuoco sia la ragazza che le montagne. Se il diaframma, invece, è aperto e metteremo a fuoco sulla ragazza, le montagne dietro saranno sfocate. Con diaframmi chiusi (quindi numero F più alto) abbiamo una grossa profondità di campo (soggetti lontani tra di loro a fuoco). Con diaframmi aperti (numero F più basso) avremo una piccola profondità di campo (soggetti lontani da quello a fuoco, sfocati). La profondità di campo quindi si può spiegare così, è l’ampiezza della zona appena davanti e appena dietro al punto di messa a fuoco, dove i soggetti saranno nitidi. All’esterno di questa zona i dettagli saranno sfocati. Questa zona diventa stretta avvicinandosi alla lente e diventa più ampia con i soggetti più lontani. Fate un po’ di esperimenti a fare foto a cose poste a diverse distanze mantenendo sempre costante l’apertura, così potrete capire meglio il concetto! Vi ricordate che ISO tempi e diaframmi sono correlati? A parità di ISO, aumentando l’apertura entra più luce quindi serve meno tempo per fare la foto. Chiudendo il diaframma invece la luce che entra sarà minore per cui il tempo di scatto dell’otturatore dovrà aumentare. Se teniamo il diaframma troppo chiuso in un ambiente buio ed il tempo di scatto aumenta troppo, avremo le foto mosse. Dovremo quindi aumentare gli ISO per ricompensare la luce necessaria per eseguire una esposizione corretta! Non abbiate paura di provare.. non è il passaggio da f4 a f5.6 che rovinerà la vostra foto! E poi il bello delle digitali è proprio quello di poter fare scatti e scatti di prova senza dover pagare soldi sonanti per lo sviluppo!
Gli obiettivi
Quando si compra la prima reflex da inesperti, solitamente, si finisce a comprare una macchina con l’obiettivo in kit. In pratica vi viene venduto il corpo macchina, e un obiettivo, o a volte due, solitamente non bellissimi bensì assolutamente mediocri. Gli obiettivi hanno un’importantissima caratteristica, ovvero la lunghezza focale. E’ espressa in millimetri tra il sensore e il centro della lente regolata all’infinito. Non fissatevi su questo concetto! Alla fine è solo un numero, più piccolo è il numero, più è ampia la porzione di realtà che andrete a fotografare. Più il numero è alto, più ‘lontano’ inquadrerete. Ad esempio un obiettivo 18-55mm regolato a 18mm prenderà una porzione grandangolare della scena, mentre regolato a 55mm prenderà un angolo minore. Gli obiettivi sotto al 50mm vengono chiamati grandangolari, il 50mm viene chiamato normale e le focali superiori vengono definite medio tele e tele per quelli più spinti. Il fish-eye o ‘occhio di pesce’ sono quei bizzarri obiettivi dove la porzione di spazio catturata è ampissima, come ad esempio in un 8mm. La classica domanda che le persone si fanno quando si avvicinano alla fotografia è: ‘ma non posso avere un obiettivo sia grandangolo sia tele? Ho sentito dire che c’è un 18-200 che fa tutto’, a tale riguardo vi ricordo che ciò con cui lavoriamo è la luce. E per far entrare tanta luce serve una grande lente! Tutti gli obiettivi così definiti tuttofare non sono mai luminosi! Quindi avranno un fattore F molto alto.. costringendoci ad aumentare i tempi o alzare gli ISO. Vi ricordate che abbiamo parlato di cosa varia coi diversi diaframmi? Ecco… uno zoom si chiama luminoso quando ha un diaframma massimo di almeno F2.8. Gli obiettivi a focale fissa possono raggiungere anche il valore di F1.4 in virtù della maggiore semplicità del sistema di lenti. Come facciamo a distinguere gli obiettivi validi da quelli scadenti? Ci sono molti termini e cifre, ma tenete presente che dovrete mettere in conto di spendere un bel po’ per avere delle lenti di qualità. Iniziamo col dire che un’ottica fissa, normalmente, ha un fattore di QI (Qualità di immagine) superiore. Cosa è la qualità di una lente? Personalmente ritengo di qualità una lente che ha poche aberrazioni cromatiche e un’ottima incisività nei dettagli. Ovviamente non sto dicendo che uno zoom sia per forza da evitare, dico solo di tener presente le differenze in fase di acquisto. Con lo zoom però possiamo ricomporre l’immagine stando fermi, mentre con un ottica fissa dovrò per forza avvicinarmi o allontanarmi dal soggetto per restringere o allargare il campo da riprendere. Un’altro fattore determinante nel costo e nella scelta di un obiettivo è la apertura massima del diaframma. Quando viene progettato un obiettivo si crea un sistema di lenti ottiche che fanno arrivare la luce sul sensore a seconda delle focali che si sono decise. Alla fine però un obiettivo altro non è che un cilindro contenente un sistema di lenti ottiche e un sistema per la messa a fuoco che consiste in una lente mobile. Sono state sviluppate una serie di migliorie tecniche volte a semplificare il lavoro del fotografo. Ad esempio la messa a fuoco automatica. Tramite un motorino elettrico dentro la macchina fotografica si faceva girare una vite sull’obiettivo che regolava la lente di messa a fuoco. Tali sistemi sono stati migliorati fino ad avere una comunicazione molto complessa col corpo macchina reflex. Una delle modifiche è stata quella di spostare questo motore dalla macchina fotografica all’obiettivo stesso, integrandolo nel barilotto. Si sa che la velocità non è mai abbastanza, e negli ultimi anni questo motorino è stato soppiantato da dei motori piezoelettrici chiamati ‘ultrasonici’ che permettono la messa a fuoco automatica in modo più veloce. Altro sistema utile è lo stabilizzatore d’immagine. Quando lo stabilizzatore è sulla macchina fotografica, ad esempio nelle macchine fotografiche SONY, non c’è bisogno di obiettivi particolari. Quando invece lo stabilizzatore è nell’obiettivo allora è chiaramente specificato dalla casa produttrice. Ma a cosa serve? Lo stabilizzatore permette di limitare il danno dato dalle vibrazioni dell’operatore, e non certo dal movimento dei soggetti. Infatti non è un sistema per evitare di comprare obiettivi luminosi: con questi ultimi, potendo usare dei tempi più veloci, abbiamo un netto vantaggio qualitativo sull’immagine finale scattata, ad esempio, in luce naturale.
I formati di immagine
Nella fotografia analogica le cose erano molto più facili, o forse no? C’era il negativo o la diapositiva che sostanzialmente era un positivo. Poi c’erano le stampe. Adesso bisogna districarsi e capire varie sigle e concetti che molto spesso non sono spiegati bene ma vengono lasciati come dogmi all’utente. Partiamo quindi dal formato di file RAW. Sostanzialmente si tratta di una copia completa di ciò che il sensore ha registrato al momento dello scatto. Quindi parliamo di TUTTI i dati, compresi dettagli in zone d’ombra e dettagli in zone di luce, la cosa più importante da tenere presente è che il RAW non è una immagine!! E’ semplicemente un insieme di dati che devono essere decodificati per ottenere l’immagine. Questa operazione viene chiamata ‘demosaicizzazione’. Questo però non vi interessa! Quello che dovete tenere presente è che serve un software di sviluppo RAW. E’ chiaro che in fase di sviluppo, questi dati extra sono utilissimi per fare lo sviluppo. Ti permettono di recuperare in ombre e bianchi dei particolari che altrimenti sarebbero stati persi. Detto questo, ad un certo punto lo sviluppo finisce. E devi stampare la foto. La conversione in JPEG cosa fa? Prende per prima cosa le informazioni che non sono visualizzabili e le scarta, poi scarta dettagli omogenei dello scatto in tonalità dove sono meno importanti, tutto questo in più o in meno, in relazione al livello di compressione che darai. Ad esempio un JPEG non compresso è semplicemente la rappresentazione ‘visibile’ del tuo scatto. Alla luce di questo, devi immaginare il JPEG come una sorta di ‘fine processo’ e di ‘stampa digitale’. Il tuo prodotto finito, sarà una fotografia, registrata in un file .jpg che a quel punto potrà essere mandato in stampa senza avere una perdita significativa di qualità. Proprio per il fatto di essere un formato di immagine con compressione a perdita non dovrebbe essere mai utilizzato come file intermedio tra due lavorazioni diverse. Ma appunto solamente come prodotto finale di tutte le lavorazioni che faremo. I software di elaborazione fotografica non distruttiva, come ad esempio Lightroom, si basano proprio su questo concetto. Utilizzano il negativo originale senza mai modificarlo, applicando sopra delle modifiche decise dall’utente, che per finire vengono consolidate in un file JPEG risultante dall’esportazione del risultato. Il fatto di dire ‘scatto come uscito dalla macchina’ è fuorviante, perché già il solo fatto di aver effettuato una conversione in JPEG operata dal software della macchina fotografica significa che lo scatto è stato modificato. Solo non è stato modificato da noi ma da un sistema automatico che non sa cosa abbiamo scattato. Esistono altri formati di file più specialistici, come ad esempio il TIFF o il PSD, in linea di massima quello che dovete tenere presente è che se un formato è compresso ‘a perdita’ state buttando delle informazioni, quindi dovrà essere usato solo come prodotto finito, se invece è un formato pieno vi permetterà di rimodificare lo scatto senza problemi di perdita di qualità.
La gestione del colore
Avete presente quando andiamo in un centro commerciale e ci sono un sacco di televisori e tutti sono regolati con luminosità, contrasto e colori diversi? Ecco, questo è l’esempio calzante del problema. Non c’è costanza di colore tra un dispositivo ed un altro, quindi, il vestito della presentatrice in un televisore sarà bordeaux, in un altro sarà rosso carminio e in un altro ancora sarà rosa. Adesso immaginate di dover scattare una fotografia e di importarla sul computer, e successivamente di stamparla. Come fate ad essere sicuri che il colore, che è stato acquisito dal sensore, sia lo stesso che vedete a video e anche lo stesso che vedrete in stampa? Ecco che come sempre ci viene in aiuto la tecnologia! Bisogna implementare la cosiddetta ‘catena colore’. Di cosa stiamo parlando? Di un insieme di strumenti e software che ci permettono di garantire la cosiddetta corrispondenza cromatica. La prima cosa che dobbiamo fare è acquistare una palette chiamata Color Checker. Questa palette è formata da dei quadratini di colori ‘certificati’, colori appunto controllati, verificati e assoluti. Cosa significa? Che il tassello verde sarà di un materiale veramente verde e sopratutto uguale a tutti gli altri verdi delle altre palette vendute. E anche il rosso, il giallo e tutti gli altri colori. E cosa ci facciamo? Lo fotografiamo ovviamente! Dopodiché useremo un software fornito con il Color Checker creeremo un cosiddetto ‘profilo colore’ della nostra macchina fotografica. Questo profilo serve al nostro computer per sapere come la nostra macchina fotografia registra le varie forme d’onda del colore e per creare quindi la rappresentazione fedele di ciò che il sensore ha acquisito. Adesso però sorge un problema. L’immagine acquisita è corretta, ma noi la vediamo tramite il monitor che non sappiamo come li rappresenterà. Dobbiamo quindi comprare una sonda di calibrazione, ovvero un dispositivo che ‘legge’ i colori del monitor creando anche per questo un profilo colore. Una volta sistemato anche il monitor siamo a posto! Avremo la macchina fotografica che genera una immagine dai colori certificati ad un computer che li mostrerà a video in modo certificato! A questo punto dobbiamo stampare le nostre immagini. Se lo facciamo a casa, con una stampante fotografica e usando le carte e gli inchiostri specifici del produttore, possiamo fidarci del sistema colorimetrico della stampante stessa, anche perché la sonda per calibrare la stampante costa parecchio in più di quella del monitor. Se invece ci rivolgiamo ad un service di stampa, sarebbe il caso di ottenere i profili colore dei loro sistemi, in modo da poter effettuare dal nostro computer, coi software di post-produzione le correzioni per fare in modo che le nostre immagini vengano stampate al meglio. Nessuno ci vieta successivamente allo scatto di alterare i colori! Assolutamente! Ma almeno in questo modo abbiamo una congruità iniziale che ci permette di lavorare su dati certi.
Se vi interessa scaricare il .pdf stampabile di questi appunti lo potete trovare sul mio sito internet: www.simonesolda.it